Coronavirus: i contribuenti devono salvare le imprese oppresse dai debiti?

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Di seguito la traduzione dell’articolo originale pubblicato sul sito di Finance Watch il 10 Aprile 2020 e scaricabile qui

In che modo la crisi legata al coronavirus influirà sull’eccessivo indebitamento delle imprese accumulatosi dalla crisi del 2008-2009? Ora che i governi stanno preparando massicci pacchetti di stimolo fiscale per impedire un’ondata di fallimenti, le aziende che negli ultimi anni hanno incautamente contratto prestiti per sfruttare i bassissimi tassi d’interesse si stanno mettendo in fila per ottenere anche le misure di salvataggio finanziate dai contribuenti. Ma i salvataggi non risolveranno il problema sottostante: con tassi d’interesse che probabilmente rimarranno ‘bassi ancora a lungo’, la tentazione per le aziende di abbuffarsi di debito economico sarà più forte che mai.

Un decennio di allentamento delle condizioni monetarie nella maggior parte delle principali economie sviluppate ha prodotto globalmente livelli disomogenei d’indebitamento sia del settore pubblico sia di quello privato. Dal 2007 il debito globale è aumentato di oltre il 50%, passando da 167 a 253 trilioni di dollari. Il solo debito di governi, famiglie e imprese non finanziarie è passato da 113 a 191 trilioni di dollari, con un incremento annuo medio di circa il 4,5% dal 2007 e quasi il doppio del tasso di crescita dell’economia mondiale. A settembre 2019 il rapporto debito/PIL globale si attestava al 322%.

Il Fondo Monetario Internazionale (FMI), la Banca dei Regolamenti Internazionali (BRI), l’ Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (OCSE), insieme a ricercatori e accademici, hanno pronosticato una nuova crisi del debito. Stavolta il settore delle imprese sembra particolarmente vulnerabile. Le aziende di tutti i settori economici hanno sostituito il costoso patrimonio netto (equity) con più economici finanziamenti a debito per mezzo dei riacquisti di azioni proprie (buy-back). Tra il 2009 e il 2019 il mercato del leveraged buyout (LBO – letteralmente ‘acquisizione attraverso debito’) ha vissuto una fase di espansione, che ha portato i livelli di valutazione vicini ai massimi pre-crisi registrati nel 2007, mentre la qualità del credito si è deteriorata. I finanziamenti a leva (leveraged loan) privi delle consuete clausole a tutela degli investitori (covenant lite), che sono sempre un indicatore affidabile di mercati del credito effervescenti e un segno precursore di crisi, sono ricomparsi con insistenza. Nel settembre 2018 la BRI ha platealmente pronosticato l’aumento delle ‘aziende zombie’, ovvero quelle società che per un lungo periodo di tempo non sono in grado di coprire l’interesse applicato al loro debito con gli utili d’esercizio correnti.

In un contesto in cui l’economia globale si trova in una sostanziale paralisi dovuta alla pandemia da coronavirus, molte di queste imprese andranno probabilmente incontro a difficoltà nel coprire il proprio debito. Gli spread su obbligazioni societarie di tipo sub-investment grade, che già in autunno avevano iniziato a crescere, sono schizzati alle stelle dall’inizio della crisi, indicando che gli investitori si aspettano un’ondata d’inadempimenti. Nelle ultime settimane i governi hanno annunciato pacchetti di stimolo fiscale del valore di trilioni di euro a sostegno di aziende e famiglie colpite dalla crisi e come misura di ripresa economica. Sono quindi i contribuenti a soccorrere le imprese che, in tempi di vacche grasse, si sono deliberatamente e incautamente riempite di debiti senza preoccuparsi delle conseguenze?

Con molte probabilità, i pacchetti di stimolo proposti finiranno per salvare molte di queste società sovraindebitate. Anche prima della crisi legata al coronavirus, l’economia globale era tutt’altro che solida. Una crisi dovuta a un forte indebitamento delle imprese, senza gli ulteriori danni causati dal coronavirus, sarebbe stata già di per sé estremamente gravosa. In combinazione con le conseguenze negative della pandemia, sembra inconcepibile che i decisori politici rischino una crisi sistemica lasciando fallire le attività oppresse dai debiti. Che piaccia o meno, queste ‘aziende zombie’ ritroveranno probabilmente una rinnovata linfa vitale, almeno per ora.

In ogni caso, aiutare le imprese sovraindebitate a sopravvivere alla crisi non risolve il problema dell’eccessivo indebitamento. Investitori e decisori politici concordano sul fatto che i tassi d’interesse debbano rimanere ‘bassi ancora più a lungo’ Secondo le previsioni, per l’immediato futuro le banche centrali dovrebbero mantenere bassi i tassi di riferimento e sostenere l’economia con un allentamento delle condizioni monetarie, ad esempio con programmi di acquisto d’investimenti (asset). Per alcuni, questo potrebbe essere necessario per consentire all’economia di riprendersi dallo shock disomogeneo causato dalla crisi legata al coronavirus. Ma la svariata natura delle modalità d’indebitamento economiche continueranno a incentivare le aziende a sperimentare livelli di debito eccessivi e fondamentalmente insostenibili. In uno studio condotto nel 2018, la BRI si è espressa molto chiaramente in merito al rischio legato a una politica monetaria troppo accomodante. Le ‘aziende zombie’ sono una seccatura per l’economia, anche in tempi normali, e potrebbero implicare un disastro quando il ciclo economico si rimetterà in movimento.

Christian Stiefmüller

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Autore

Christian Stiefmüller

Membro dello staff di Finance Watch

Informazioni sull’autore

In qualità di Senior Research and Advocacy Advisor, Christian Stiefmüller fornisce consulenza a Finance Watch sulla regolamentazione bancaria, nonché su questioni relative a FinTech, supervisione finanziaria e pensioni. Maggiori informazioni

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